3 - la relazione educativa: la comunicazione tra animatore e gruppo 3.1. COME INTENDERE LA RELAZIONE EDUCATIVA Troppo spesso, negli ultimi anni, si compreso la relazione educativa quasi esclusivamente in termini di un processo di comunicazione tra soggetti interagenti in una dinamica di gruppo. Se l'espressione educativa si serve della dinamica di gruppo tuttavia la trascende (la supera) in vista di un incontro progressivo, personale ed ecclesiale di ogni uomo con il Dio di Ges Cristo. Tutto questo lo abbiamo capito proprio da come Dio educa il suo popolo. 3.1.1. IMPARARE DALLA STORIA DELLA SALVEZZA E DALLA PROPRIA STORIA CON DIO Nella storia della salvezza la pedagogia di Dio si sempre presentata come relazione di amore, di affetto, di alleanza con il suo popolo. una relazione personale e comunitaria, rispettosa della creatura, fedele, paziente, misericordiosa. Dio si fa compagno di strada dell'umanit, cammina con il suo popolo, verso l'esperienza finale del Regno. Anche la nostra storia personale si modellata dentro una relazione paziente e misericordiosa di Dio che ci ha preso a cuore e sostenuto dentro vicende fatte di chiarezza e di ambiguit. Ogni relazione educativa deve ispirarsi e riferirsi continuamente all'azione di Dio per il suo popolo. 3.1.2. LA RELAZIONE EDUCATIVA COME RELAZIONE DINAMICA FRA DUE SOGGETTI Il fatto educativo si pu definire come una relazione tra due soggetti: il giovane e l'esperienza cristiana ecclesiale; il giovane cos geloso della sua soggettivit (autonomia e libert) e una comunit cristiana ugualmente gelosa della propria tradizione di fede che difende come un patrimonio "oggettivo". proprio qui che nasce un evidente conflitto educativo. Oggi la relazione educativa corre il rischio di essere vissuta dentro un pregiudizio diffuso, secondo il quale l'esperienza di fede e la vita ecclesiale vorrebbero "invadere", "incapsulare", "distruggere" la soggettivit del giovane. Da qui le paure e le resistenze del giovane alla proposta di fede. Da qui la paura degli animatori di proporre esplicitamente la fede, con conseguente enfatizzazione di uno e dell'altro dei due approcci che possono far decare la qualit della relazione educativa: * approccio "antropocentrico": si d attenzione preminente ai bisogni e alle domande giovanili e cos si perdono l'oggettivit e la specificit dell'esperienza religiosa; * approccio "catechistico": si privilegia la comunicazione oggettiva dei contenuti dell'esperienza cristiana rinunciando alla necessaria accoglienza delle domande giovanili. essenziale invece che i due soggetti non rinuncino alla propria originalit; va dunque privilegiata la loro inter-relazione, costruita nel pieno rispetto della loro diversit, della loro integrit, chiedendo solo che tra essi ci sia relazione, comunicazione significativa, empatia, condivisione, conversione. 3.1.3. LA SORPRESA DELLA RELAZIONE GRATUITA Prima di attivare una buona relazione educativa necessario che l'animatore e la comunit cristiana "sorprendano" il giovane nella paura di perdere la propria autonomia. L'animatore deve offrirsi come "un paziente tessitore" di relazioni e rapporti significativi, di incontri tra il soggetto giovanile e l'esperienza cristiana, lasciando al tempo, alla "strada", alla grazia di Dio un'incontro di fede sempre pi consapevole e integrale. L'educatore "introduttore" all'esperienza cristiana una persona capace di vivere relazioni: - vere: mettono in gioco tutti e due i soggetti, senza maschere, ruoli, o altro; - significative: "senza familiarit non si dimostra affetto e senza questa dimostrazione non ci pu essere confidenza" (don Bosco); - libere: accogliere l'altro in quanto altro, rispettando la sua originalit, anzi difendendola. Dobbiamo avere il coraggio di accettare nella relazione educativa il rischio della libert; - pazienti: che sanno aspettare, attendere con fiducia "i tempi dell'uomo e quelli di Dio"; - fedeli: capaci di essere aperte nel tempo, dentro le situazioni esistenziali pi o meno critiche, anche e soprattutto al di l della presenza del giovane nel gruppo e nella comunit. Le qualit di relazioni umane ed ecclesiali permette che la relazione sia vissuta come un "simbolo" della relazione di amore di Dio. In una relazione matura ogni giovane pu fare esperienza del sentirsi amato personalmente da Dio. Un Dio che progressivamente si svela come liberatore e misericordioso, difensore della sua originalit. A questo livello ogni paura viene meno e l'incontro diventa aperto alla novit di Dio. 3.1.4. LA PROPOSTA EDUCATIVA: 'DALLE COSE DA FARE ALLE RELAZIONI DA VIVERE' La scelta di uno stile di relazione educativa come questo chiede agli animatori e alle comunit cristiane una revisione delle esperienze di pastorale giovanile. Per realizzare una autentica relazione educativa c' bisogno di iniziative, itinerari di gruppo, appuntamenti, sussidiazioni metodologiche, ecc.; non pi in termini di "cose da fare" ma di "relazioni da vivere". Alcune indicazioni di metodo possono essere: * aiutare i giovani a leggere in profondit la propria vita, a fare "memoria" della propria esistenza concreta (fatti, scelte, paure, desideri...), senza rimozioni, maschere, idealizzazioni...; * introdurre i giovani dentro un'esperienza di accoglienza di s (doni e limiti); * capire che la vita pi della realt che si coglie (corpo, amore, natura, festa, vita e morte, segni, riti...) e imparare ad esprimersi anche con lo stesso "linguaggio simbolico"; * fare esperienza di comunit cristiana che crede, ama, celebra, curando - la partecipazione alle liturgie e feste della comunit, - gli incontri con l'esperienza ecclesiale "adulta nella fede", - la testimonianza di vita come esperienza di accoglienza e volontariato. 3.2. LA RELAZIONE EDUCATIVA COME RELAZIONE DI COMUNICAZIONE 3.2.1. Premessa Siamo giunti alla terza questione. Quale tipo di relazione definisce la funzione educativa? Abbiamo utilizzato la formula "relazione" per descrivere il processo educativo. Dobbiamo ora determinare di quale relazione si tratta. Una ipotesi praticabile esiste, capace di organizzare la complessit; ed confortata da contributi teorici e pratici. Su questa base possiamo affermare che il processo educativo si sviluppa normalmente secondo modelli di tipo comunicativo. La relazione educativa quindi strutturalmente una relazione comunicativa: nell'atto educativo qualcuno dice qualcosa a qualche altro su qualcosa e per qualcosa. Siamo abituati a considerare soprattutto il qualcosa che viene detto, quello che forma l'oggetto del processo. Anche questo rappresenta certo un fatto di comunicazione. Ma non l'unica realt, n forse la pi importante. Si insiste maggiormente sulla relazione che si instaura tra i due protagonisti: tra colui che dice qualcosa e colui che accoglie o rifiuta questa parola e in ci rimette in questione il primo interlocutore. Dobbiamo perci studiare attentamente questi modelli, per scoprirne gli effetti sul gruppo e di conseguenza sui processi educativi. Concentriamo la riflessione su due aspetti particolarmente problematici: - il grado di corrispondenza esistente tra gli interlocutori; - lo stile utilizzato dall'educatore per lanciare le sue informazioni. 3.2.2. L'ASIMMETRIA COMUNICATIVA Se pensiamo l'atto educativo in termini di relazione, ci accorgiamo facilmente che esso si svolge normalmente secondo modelli chiaramente asimmetrici. Chiamiamo "asimmetria" la mancanza di corrispondenza e di proporzione tra due punti. Asimmetria dice perci "diversit": nel nostro caso distinzione e diversit tra i due interlocutori. Ogni relazione educativa segnata dalla diversit. Tra educando e educatore non c' infatti corrispondenza a livello di et, di formazione, di possesso, di informazioni, di ruoli sociali. La stessa funzione dell'educatore giustificata e caricata di responsabilit sociale proprio a partire dal riconoscimento dell'asimmetria esistente. Compreso bene lo stato della questione, ci si rende facilmente conto delle grosse difficolt che ne scaturiscono. Asimmetria, processi comunicativi e dimensione educativa sembrano elementi che si escludono reciprocamente. Accettando pienamente uno siamo costretti a dissolvere inesorabilmente l'altro. Quando la comunicazione avviene tra interlocutori troppo diversi, essa risulta povera di messaggio; salta quindi la struttura comunicativa. Come si sa, messaggio non quello che il primo interlocutore trasmette al secondo. messaggio solo quello che il ricevente riesce a decifrare, perch solo quello che soggettivamente decifrato pu essere ricevuto e fatto proprio. La comunicazione si realizza perci solo quando tra i due interlocutori esiste uno spazio di convergenza. Messaggio non quindi il contenuto astratto della comunicazione, ma solo quanto contemporaneamente inteso dall'emittente e decifrato dal ricevente. L'ipotesi pi praticabile quella che chiede all'educando di entrare passivamente nel mondo interiore del suo maestro, accettando la cultura che esso incarna. Qualche volta, al contrario, l'educatore cerca di recuperare la capacit comunicativa rinunciando alla sua funzione e eliminando tutto ci che strutturalmente lo differenzia dall'educando. Una comunicazione destinata a produrre educazione richiede un indice alto di autorevolezza in colui che inizia il processo. Si tratta infatti di spingere attraverso la comunicazione a superare il gi acquisito per immettere in modo responsabile nell'inedito della storia, personale e collettiva. 3.2.3. STILI DI COMANDO Affrontiamo il secondo problema. Come abbiamo fatto per il precedente, precisiamo prima di tutto l'oggetto della nostra ricerca. Abbiamo gi detto che la funzione dell'educatore comporta un esercizio di potere e sappiamo che lo strumento di cui l'educatore si serve per esprimere la sua autorit una relazione comunicativa instaurata con il gruppo. Parlando si "stili di comando" si intende far riferimento alla qualit di questa relazione: al modo con cui l'educatore esercita la propria influenza sugli altri e al rapporto che egli di conseguenza stabilisce con loro. * L'esperienza ci dice che possono essere diversi gli stili con cui viene esercitata la funzione educativa. Lo studio di questi modelli conferma per che in tutti i casi viene espresso un gioco di potere il cui effetto influenza il gruppo. Qualche volta il gruppo cresce in forza di questa relazione, sostenendo la libert e la responsabilit personale. Altre volte, invece, nel gruppo si scatenano tensioni e processi involutivi. Lo stile del comando possiede un suo peso educativo distinto dalle informazioni che mette in circolazione. Generalmente la dinamica di gruppo mette in rilievo tre posizioni: lo stile di comando autocratico, democratico, permissivista. Presentiamo una tavola di sintesi, anche se importante non dimenticare che i modi di esercitare l'autorit sfumano in realt l'uno nell'altro (cf. tavola/1). * Prendiamo ora in esame gli effetti che i diversi stili di comando producono sul gruppo. facile cogliere come le linee di riferimento sono determinate dalle dimensioni di attivit, libert e responsabilit, interazione e creativit, tra i membri del gruppo. Sono in gioco quindi gli elementi costitutivi il gruppo stesso; in particolare il rapporto tra efficienza di gruppo, ma a scapito della coesione. Esaminiamo nei particolari i singoli effetti (cf. tavola/2). 3.2.4. STILI DI COMANDO: MODELLI ANTROPOLOGICI Utilizziamo come indicatori i momenti della vita di un gruppo di lavoro: le decisioni e le azioni, la definizione dei ruoli e l'indicazione dei compiti da eseguire, la verifica e la valutazione del processo. Anche la descrizione degli effetti prodotti dai diversi stili ha come punto di riferimento il gruppo: le strutture di comunicazione, il morale del gruppo, le tensioni prodotte, il livello di coesione. L'esercizio della relazione educativa comporta infatti un modo di definire i grandi temi della vita interpersonale e sociale e, per questo, suggerisce come va intesa la libert, la responsabilit, la creativit, l'autorealizzazione personale. Non possiamo non fare un cenno veloce a queste gravi problematiche. * Lo stile "autocratico" riporta alla pedagogia del consenso. Si chiama cos quel modello pedagogico che parte dall'idea di trasmissione, porta all'indottrinamento acritico, favorisce l'autoritarismo, stimola l'emulazione, provoca la selezione nei modi pi svariati e con le giustificazioni pi disparate. Il rapporto educativo a senso unico, dall'alto al basso: dall'adulto al giovane, dal passato al presente, dall'educatore (di cui va difeso il ruolo) all'educando. La sicurezza di "valori", presupposti e perseguiti, e la stabilit delle leggi che vi conducono, stanno alla base di questa visione umanamente oppressiva del modello educativo. * Lo stile "permissivista" si rifa' invece ad un modello pedagogico che enfatizza la libert dell'uomo. Dal punto di vista metodologico prevale una logica inversa a quella precedente: dal basso, induttiva, secondativa nei confronti dell'educando. Questa pedagogia della libert, portata al limite, diventa spesso contraddittoria, perch non possibile prescindere da qualsiasi condizionamento esterno. Analizzando criticamente le logiche che sottostanno a questa impostazione, ci si rende conto che il modello il prodotto di una societ capitalista, che di fatto favorisce sempre di pi il gi favorito ed emargina ulteriormente l'emarginato. Alla sua base sta fondamentalmente un'etica di tipo individualista, che confina con l'egoismo. Riemerge in questa visione, come nella precedente anche se con diversa origine e matrice, una radicale deresponsabilizzazione. * Lo stile "democratico" tenta di proporre un'alternativa concreta e realistica che sappia contemperare libert e responsabilit, creativit e oggettivit. Di fronte alle norme e alle leggi nasce un'etica che non risulta n propriamente eteronoma n autonoma in senso stretto. Essa autonoma perch mette la persona al centro; eteronoma perch la considera sempre all'interno di progetti con cui confrontarsi, per accogliere e superare in modo critico e maturo. Il processo educativo un processo aperto in vari sensi: in quello della globalit, in quello della collaborazione, in quello della conservazione critica e del rinnovamento, in quello della creativit e della progressiva responsabilit. 3.2.5. IL GRUPPO COME SOGGETTO DEI PROCESSI FORMATIVI Il gruppo, considerato come realt autonoma, costituita dai rapporti di diversa natura che scorrono tra i suoi membri, una struttura comunicativa, capace di garantire il rispetto dell'asimmetria e il raggiungimento della simmetria. Esso, infatti, la convergenza dinamica di "diversi" attorno ad un progetto comune, e uno spazio esperienziale in cui i valori e le proposte sono percepiti con i toni della significativit e della concretezza. Chi concentra nella sua figura la funzione educativa e coloro che invece sono strutturalmente destinatari di questa funzione, non solo conservano le caratteristiche per cui sono reciprocamente asimmetrici (et, cultura, sensibilit, ruoli), ma possiedono la consapevolezza che solo mettendo la diversit al servizio dell'unit possono veramente convergere. L'affermazione apre verso due problemi pratici: l'accettazione e il consolidamento della diversit, la definizione di un punto di convergenza. Le due emergenze sono egualmente determinanti. * Senza il rispetto dell'asimmetria si svuota la funzione educativa. Senza l'incontro dei diversi non c' comunicazione e non c' gruppo. Il gruppo opera come proposta educativa nei confronti dei suoi membri perch sostiene strutturalmente la diversit, la rispetta, l'incoraggia, la rilancia. Per assolvere questa esigenza, esso agisce come il luogo in cui ciascuno si sente restituito a se stesso, per trovare nella verit di se stesso le ragioni e la saturazione di quel bisogno di sicurezza che spingerebbe ad uscire da s, riconsegnandosi passivamente all'altro. Nel gruppo e attraverso il gruppo ogni membro diventa cos partecipante attivo e critico della sua storia. * Per comunicare e maturare assieme indispensabile per convergere: superare la costitutiva diversit verso "un punto di fuga" ulteriore, rispetto al gi acquisito e sperimentato. Questo elemento catalizzatore dato dalla grande intenzione educativa: ciascuno si sente nel gruppo perch vuole educare ed educarsi, offrendo e ricevendo. In questa convergenza dinamica viene progressivamente definito "cosa" caratterizza il processo educativo per la cui realizzazione si converge. Il punto d'incontro non predeterminato, ma viene progressivamente elaborato. Non rappresenta l'esito di un processo di indottrinamento n il limite tollerabile per la rinuncia alla propria identit. Nasce invece dalla profonda disponibilit a condividere progetti e preoccupazioni che sono ulteriori rispetto al punto in cui ciascuno si trova. In questo modo il gruppo non assolve solo una funzione strumentale rispetto ai valori da comunicare; al contrario, nell'incontro e nel confronto, si attiva una dinamica di crescita permanente che investe tutti, persone e valori. Il gruppo resta il soggetto delle concrete valorizzazioni, di quel processo cio che traduce i valori in quadri di riferimento per le situazioni di vita, in una riformulazione capace di elaborare in modo creativo anche i valori perenni. 3.2.6. COS' E' UNA RELAZIONE EDUCATIVA In sintesi, la relazione educativa un sistema caratterizzato dalla compresenza di tre dimensioni: - l'asimmetria, cio la diversit di bagaglio tra interlocutori; - la comunicazione: tra interlocutori ci si scambia qualcosa; ci suppone che ci sia tra loro uno "spazio di convergenza"; d'altra parte senza scambio non c' educazione; - la situazione educativa che data dalla decisione di un interlocutore di aiutare l'altro in modo intenzionale, sistematico, dentro una istituzione educativa. Per aiutare a svolgere questi concetti si pu ricorrere a dei disegni in cui rappresentare il gruppo e l'animatore con dei cerchi e la comunicazione con delle frecce, mentre il tutto si svolge all'interno di un'istituzione educativa aperta verso la societ, la cultura, la comunit ecclesiale pi vasta. Possiamo, ricorrendo ai disegni, identificare diversi casi. a) I due interlocutori, pur vivendo nello stesso ambiente educativo, sono troppo diversi e distanti. In questo caso la distanza tale che non si riesce a comunicare: non ci si scambia niente e quindi non si educa. b) I due interlocutori si sovrappongono del tutto. La distanza/differenza annullata: si pu comunicare (ma fino a che punto?) ma non ci si scambia niente. L'animatore pu, come indica il disegno, mimetizzarsi e confondersi nel gruppo: il suo ruolo, annullato; non c' relazione educativa. L'animatore si sovrappone al gruppo "schiacciandolo". Mancando autonomia non esiste comunicazione educativa. c) I due interlocutori, pur diversi, comunicano arricchendosi. In questo caso, come indica il disegno, rimane la distanza, ma c' "un'area di convergenza" che permette di comunicare. Esiste una sorta di "patto comunicativo" 3.3. GESTIONE DEL POTERE E FUNZIONE EDUCATIVA Passiamo ad un altra questione: quali dinamismi regolano in un gruppo l'investitura ad una persona della funzione educativa? Per rispondere adeguatamente al problema dobbiamo studiare i processi che sottostanno alla gestione del potere in un gruppo. 3.3.1. STRUTTURE FORMALI E STRUTTURE INFORMALI In un gruppo, il potere tende a centralizzarsi su alcune persone. Le ragioni sono diverse. Possono essere ridotte a queste due, pi generali e fondanti le altre: - la funzione tecnica di far progredire il gruppo verso i suoi obiettivi; - la funzione affettiva di rinforzare la coesione di gruppo. La presa di potere e il suo esercizio nel gruppo normalmente segnato dal flusso delle informazioni che circolano e dalla possibilit di intervenire a manipolare questo flusso. Si pu affermare che in ogni gruppo esiste una catena attraverso cui passa l'informazione e quindi il potere. Il capo sta al vertice di questa "catena" e la controlla. Nel gruppo esiste una doppia "catena" o struttura: la struttura formale e quella informale. Struttura formale quella imposta al gruppo dall'esterno o quella che il gruppo si progressivamente elaborato, codificando i ruoli ufficiali esistenti al suo interno. Soprattutto quando la struttura formale molto rigida, nel gruppo si origina una struttura sotterranea e alternativa (la struttura informale) attraverso cui passa la simpatia/antipatia. Si costituisce cos una nuova struttura di potere, in cui circola una nuova influenza che costruisce i poli di attrazione e di rimozione, i sottogruppi e le "combriccole", la posizione dei membri scartati e di quelli popolari. Questa struttura chiamata informale: non ufficiale e spesso difficilmente identificabile, perch attraversa il gruppo a livello latente; d'altra parte esiste ed ha peso nella vita concreta del gruppo. 3.3.2. EDUCATORI FORMALI ED INFORMALI L'esistenza di una struttura formale e di una informale dato di fatto importante per studiare i dinamismi che regolano in un gruppo l'investitura ad una persona dalla funzione educativa. Se il rapporto tra autorit e funzione educativa molto stretto, come stiamo vedendo, gli stessi processi che costituiscono l'autorit formale e quella informale determinano i meccanismi di investitura. Nel gruppo ci sono perci educatori "formali" e educatori "informali". * Gli educatori "formali" sono quelli imposti al gruppo dall'esterno, con compiti particolari. Molto spesso la presenza degli adulti nei gruppi giovanili rientra in questi modelli. Lo svolgimento delle diverse funzioni (sopratutto di quella educativa) proporzionata alla misura in cui il gruppo si identifica con loro e li riconosce come simboli dei suoi valori e progetti. Con questa operazione progressiva ne riconosce ufficialmente il ruolo e li integra nella propria struttura formale. * Pi complesso invece il processo che determina la figura dell'educatore "informale". Tutti i membri del gruppo, perch interagiscono, hanno qualche influenza educativa sugli altri. Il grado di questa influenza differisce notevolmente da membro a membro e da gruppo a gruppo. Solo pochi hanno un peso determinante. Si pu affermare in questi casi che essi influenzano gli altri pi di quanto non vengano da loro influenzati. Queste persone nella struttura formale non occupano ruoli particolari. Concentrano per nella loro figura un'intensa funzione educativa a livello informale: membri di un gruppo alla pari con tutti, esercitano un ruolo determinante negli scambi, nelle decisioni, nella scelta degli obiettivi, nel consolidamento dei valori e dei progetti. Nel linguaggio corrente vengono definiti "leaders", una parola inglese che significa approssimativamente "capi". Si pu meglio comprendere in che senso e a quali titoli parliamo di funzione educativa del leader, se si ricapitoliamo brevemente le complesse dimensioni della sua figura. Seguendo i contributi della dinamica di gruppo (cf documento 1), le possiamo riassumere nelle seguenti: - il leader come fonte di direttive, - il leader come controllore dei rapporti interni al gruppo, - il leader come dispensatore di ricompense e di punizioni, - il leader come simbolo del gruppo, - il leader come ideologo del gruppo, - il leader come "capo espiatorio": come colui che costituisce un oggetto ideale per i sentimenti emozionali positivi o che rappresenta il bersaglio per l'aggressione del gruppo frustrato, contrariato, deluso. * La distinzione pratica tra adulti-educatori e leaders (coetanei con ruolo informale di educatori) assai importante nella logica dei processi formativi. Non solo riporta alla corresponsabilit di gruppo la funzione educativa, ma assicura anche una dialettica tra modelli di gestione dell'autorit, preziosa per sfondare la barriera delle norme. Spesso per si tende a scavalcare la distinzione, slittando dal formale all'informale e viceversa: l'educatore adulto si camuffa, giocando all'adolescente e il leader accetta troppo facilmente di istituzionalizzarsi. Questo modo di fare pu risultare gratificante per chi lo assume e favorevole alla conservazione di un equilibrio di gruppo; pone per innegabili problemi dal punto di vista di un esercizio promozionale dell'autorit educativa. 3.3.3. IL RAPPORTO TRA AUTORITA' EDUCATIVA E POTERE Quello che sappiamo circa le logiche attraverso cui si costituisce la struttura formale e informale, ci permette di costatare come la figura dell'educatore in un gruppo molto legata al rapporto tra: - informazioni; - valori-progetti-proposte (con una parola pi tecnica possiamo dire "norme"); - potere. Esso viene giocato nel terreno in cui il gruppo pi disponibile, perch le norme rappresentano, come abbiamo gi ricordato, la sua fonte principale di sicurezza. Anche il rapporto efficienza-gratificazione (che costituisce il gruppo come campo di interazioni) in fondo condizionato dalle norme e, di conseguenza, regolato dalla figura dell'educatore. 3.4. LA RELAZIONE ANIMATORE-GRUPPO 3.4.1. Premessa In questo modello la relazione educativa risulta costituita soprattutto dalle interazioni tra i diversi membri del gruppo, dalla catena su cui si distendono e dalla struttura su cui scorrono le informazioni. Le diverse figure di educatori esercitano la loro funzione intervenendo positivamente su queste trame comunicative. Verificano i valori fatti circolare; immettono prospettive nuove; sollecitano ad attivare strutture capaci di coinvolgere tutti; controllano ogni tentativo di concentrare o di manipolare il flusso delle informazioni. Alla luce di questi processi, possiamo definire la funzione educativa prevalentemente come una relazione educatore-gruppo. Il gruppo non fornisce solo l'occasione per un dialogo intersoggettivo: nel gruppo il rapporto "a tu per tu" destinato a vanificarsi sotto l'urto della pressione di conformit; o, se regge, produce strutture comunicative privilegiate ed emarginanti. Il gruppo costituisce anche un luogo formativo, fornito di sufficiente omogeneit culturale, capace di funzionare come riferimento e rinforzo sociale, in un tempo in cui troppe istituzioni formative sono ridotte a crocevia disarticolato e disgregato, in cui scorrono le proposte pi disparate. Per descrivere il nostro progetto abbiamo contrapposto due formule: "occasione" e "luogo formativo". Dove sta la diversit? La indichiamo prendendo in considerazione i due elementi che costituiscono la relazione-educativa-nel-gruppo: la relazione interpersonale ("l'a tu per tu", come si dice, tra educatore/educando, educando/educando) e il gruppo. I due modelli affermano egualmente l'importanza della relazione interpersonale, anche se con accentuazioni diverse. Tutti e due riconoscono che l'educazione sempre un processo intersoggettivo. La diversit sta invece nel modo di comprendere il peso del gruppo in ordine a questa relazione "a tu per tu". * Il gruppo solo "occasione" se si parte dall'ipotesi che l'educazione frutto di buoni contenuti fatti circolare e se si crede che questi contenuti sono "oggettivi", al sicuro nelle centrali di elaborazione e di progettazione, fuori dalla mischia dei dinamismi del gruppo. In questo caso, il gruppo importante per una ragione strategica: mette pi facilmente i singoli giovani a contatti con i valori educativi fatti circolare. Le attivit di gruppo non sono orientate a "fare gruppo", ma a rendere interessante il gruppo, per attirare i giovani e per assicurarsi l'identificazione dei giovani con le proposte offerte. * Si parla al contrario di "luogo formativo" quando si riconosce al gruppo la capacit di interpretare e riscrivere i valori e i contenuti e si afferma la funzione educativa dei modelli di riferimento. Il gruppo diventa in questo caso un luogo di proposta in se stesso. In questo spazio vitale le persone sono restituite a quella capacit di decisione libera e responsabile che in questi tempi di pluralismo affermativa in via di principio ma quotidianamente soffocata di fatto. L'esigenza importante. Rappresenta il punto di riferimento obbligato della funzione educativa che stiamo descrivendo. Lo facciamo in due momenti. Precisiamo prima gli obiettivi a cui deve tendere la relazione educativa: suggeriamo poi le aree di intervento da privilegiare. 3.4.2. GLI OBBIETTIVI Il gruppo di fatto un luogo di proposta, alternativo alla pressione sociale, dotato di una notevole forza persuasiva. Anche l'educazione centrata sulla persona non pu risolversi fuori da questi processi. Non possiamo per accontentarci di far coincidere l'educazione con gli esiti di una pressione di gruppo. Il gruppo luogo educativo quando, nel sostegno della pressione che esercita, decentrato sulla maturazione della libert e responsabilit dei suoi membri. Questa meta generale assicurata se sono raggiunti tre obiettivi concreti. a) Capacit di differenziarsi senza separarsi. Questo primo obbiettivo mette l'accento su un'esigenza centrale della maturazione personale: la definizione dell'identit. Il gruppo offre un contesto prezioso per la ricostruzione dell'identit. Da una parte, infatti, funziona gi come iniziale selettore e organizzatore degli stimoli, attraverso il filtro delle norme. Dall'altra costituisce quel luogo caldo e accogliente, per l'intensit dei rapporti interpersonali, la vicinanza e lo scambio affettivo, che sostiene la fatica di identificarsi. Fuori del gruppo l'identit scarsa e di conseguenza basso l'indice di differenziazione. Nel gruppo la differenziazione porta facilmente alla separazione. La persona, fortemente identificata, si allontana dagli altri, concentrandosi nel piccolo grembo del suo gruppo. L'educatore teme questa involuzione. Mentre opera per sostenere la costruzione dell'identit personale, lavora perch la differenziazione non produca mai separazione, ma, al contrario, renda capace di confronto, di scambio, di dialogo. b) Capacit di prendere decisioni nella solitudine della propria intimit. L'esercizio della libert e responsabilit personale comporta costitutivamente la capacit di prendere decisioni. Il gruppo favorisce l'educazione al rischio della scelta. Spesso per il luogo di queste decisioni il gruppo stesso. Ad esso la persona cede la sua libert, per ottenere in cambio la sicurezza e il consenso collettivo. Il problema educativo salta agli occhi, immediato e bruciante. Sembra quasi di trovarsi in un'alternativa senza sbocco: stretti tra l'indecisione e la fragilit progettuale o la massificazione di una scelta sostenuta dalla pressione di conformit. Per cercare una vita di uscita, importante consegnare alla relazione educatore-gruppo il compito impegnativo di sostenere la capacit di elaborare decisioni nella solitudine della propria intimit. Maturare nella libert e nella responsabilit infatti sapere decidere, e saper costruire questa decisione nel mistero di se stessi, l dove non risuona l'applauso o il disprezzo degli altri, ma vibrano solo le esigenza inalienabili delle proprie scelte di vita. c) Capacit di maturare dalla soggettivit alla oggettivit. Gli orientamenti che abbiamo progressivamente preso ci hanno portato a spostare il punto di riferimento delle proposte dall'oggettivit alla soggettivit sofferta di ogni persona. Solo operando cos, possiamo dire di mettere la persona al centro. Il gruppo misura la soggettivit personale e la apre all'intersoggettivit. Introduce infatti principi di conflitto, criteri di valutazione e stimoli per rompere il cerchio chiuso della propria individualit. In questo processo prende consistenza qualcosa di vagamente oggettivo. Nasce tra i membri una specie di patto comunicativo che fonda quell'oggettivit di gruppo, con cui tutti sono tenuti a fare i conti. L'educatore gioca la sua presenza per assicurare uno sviluppo ulteriore: apre il gruppo verso oggettivit pi consistenti e allargate, immettendo nella realt. Si scatena, cos, nel sostegno del gruppo, una progressiva maturazione dalla soggettivit all'intersoggettivit verso il confronto e l'accoglienza di progetti di vita e di azione. 3.4.3. CASI DIFFICILI IN UN GRANDE GRUPPO ( vedi come animare.. pp 49-54) 3.5. LA FIGURA DELL'ANIMATORE La dimensione fomativa del gruppo costruita dagli educatori. Essi, morendo a se stessi e piegando il potere posseduto in un pieno servizio promozionale, si rigenerano e danno vita al gruppo. Infatti, la capacit educativa del gruppo, resta una sterile astrazione se in esso qualcuno non sa raccogliere sulla sua persona i compiti formativi che esso chiamato ad assolvere. Per abilitarsi a questi impegnativi compiti, l'educatore ripensa allo stile della sua relazione educativa e comunicativa. 3.5.1. DALL'EDUCATORE AUTORITARIO ALL'EDUCATORE AUTOREVOLE Il primo ambito di rinnovamento determinato dallo stile generale di presenza: l'educatore rifiuta ogni relazione autoritaria ma ricerca l'autorevolezza e la fonda nella capacit di "aiutare a vivere". L'esigenza di autorevolezza si oppone con la stessa forza al comportamento autoritario e a quello permissivista. L'educatore non nega le "differenze" e non riuncia alla sua funzione specifica; ma accetta le integrazioni e gli scambi. Sa di essere inserito in un processo di maturazione e di crescita. Aspetta con serenit e gioia il momento in cui la sua presenza diventer "inutile". In un tempo, com' il nostro, in cui il diritto di parlare spesso legato alla tacita accettazione di dire cose che non contano, l'educatore valida la sua pretesa comunicativa non sul rapporto istituzionale che gli garantisce prestigio perch egli alle sue dipendenze, ma sulla competenza e sulla coerenza, che gli assicura una proposta di valori culturalmente significativa e testimoniata dalla sua esistenza. In questa prospettiva il dialogo educatore-educando ricercato efficacemente, perch l'educatore non utilizza le differenze per la sopraffazione, ma per il confronto reciprocamente arricchente. La ragione ultima della sua presenza e del suo servizio, quello che lo autorizza a sollecitare responsabilmente verso l'ulteriore e l'inedito, la globale pretesa di aiutare a vivere e la realizzazione di questo suo compito ponendo gesti concreti dalla parte della vita. L'educatore esiste ed agisce perch ciascuno avverta di essere reintegrato progressivamente in una piena gioia di vivere. Esso crede alla vita e gioca tutto perch ci sia vita. L'impegno per fare del gruppo un luogo in cui ciascuno si senta accolto incondizionatamente e, in questa accoglienza, sollecitato a crescere, rappresenta nell'attuale situazione culturale e giovanile un gesto privilegiato e urgente dalla parte della vita. Anche il modo con cui sono assolti questi compiti rappresenta un ambito di rinnovamento della figura dell'educatore. 3.5.2. UN MODO DI FARE PROPOSTE Un ambito urgente di rinnovamento della figura dell'educatore rappresentato anche dal modo di fare proposte. Egli un testimone della vita come dato, come evento che misura ogni nostra ricerca e giudica inesorabilmente tutte le nostre pretese. Questo "valore" prende forma progressivamente nell'avventura dell'uomo. Ha una sua storia e diventa una cultura. L'educatore quindi garante e propositore coraggioso del gi espresso e posseduto. Egli per esprime la vita nella sua vita. Tutto detto vivendo, rischiando, costruendo. Egli il testimone della vita nella sua testimonianza di vita. Racconta la storia della vita, raccontando la sua passione e la sua esperienza. L'educatore inoltre sa che la vita all'opera attorno a s, nelle domande, gridate o inespresse, maturate o desolate, dei giovani con cui lavora. Egli testimonia la vita dando voce a coloro per i quali testimone, raccogliendo la loro storia nella sua storia. Essi non sono l'oggetto del suo servizio. E neppure sono chiamati in causa perch sono lasciati liberi di scegliere o di rifiutare le sue proposte. L'interlocutore sente che si sta parlando di lui, personalmente. Avverte che la storia narrata la sua storia; constata che la vita difesa e liberata la sua vita. Egli cos coinvolto pienamente in ogni battuta del servizio educativo. L'educatore uno che racconta "storie di vita" per aiutare a vivere. Svolge questo racconto intrecciando continuamente tre storie: la storia della "vita", piena di pretese per chiunque voglia vivere; la sua storia personale, perch non riesce a parlare di vita se non trasformando in messaggio la sua quotidiana esperienza; e la storia dei suoi interlocutori a cui restituisce protagonismo e parola. 3.6. IL REPERTORIO D'INTERVENTO DELL'ANIMATORE DI GRUPPO 3.6.1. Premessa L'animatore con i suoi interventi entra nel processo di gruppo per aiutare i partecipanti a rendersi conto di certi aspetti critici del loro comportamento ed eventualmente a cambiare questi modi specifici di comportarsi. Un intervento da parte dell'animatore ha senso se si manifestano dei deficit nell'interazione, e cio se il comportamente dei partecipanti mette in pericolo uno sviluppo produttivo della struttura sociale o di un svolgimento soddisfacente del compito di gruppo. Non appena un gruppo funziona bene, gli interventi dell'animatore diventano superflui. Periodi vissuti senza particolari disturbi sono sempre limitati anche per gruppi maturi. Sar comunque possibile che in questi ultimi i partecipanti intervengano abbastanza frequentemente e cos assumano una parte dei compiti dell'animatore che riguardano l'eliminazione dei disturbi. In particolare l'animatore pu aiutare i partecipanti con i suoi interventi a: - allargare il campo delle loro percezioni verso l'esterno e verso l'interno; - approfondire la loro comprensione del proprio comportamento e di quello altrui; - esprimersi in modo pi completo, chiaro e articolato; - trovare un contatto migliore con i loro sentimenti; - sentirsi appartenenti al gruppo e protetti; - analizzare la struttura sociale del gruppo; - svolgere il compito del gruppo in modo costruttivo; - comprendere lo sviluppo e il processo del gruppo; - reagire costruttivamente ai disturbi; - sperimentare modi alternativi di comportamento. Elencheremo alcuni obiettivi standard di interventi. L'animatore dovr determinarli a seconda della sua diagnosi della situazione di gruppo. In pratica, in molti casi l'animatore potr solo intuitivamente supporre quali processi interiori si svolgano in un partecipante o nel gruppo. Per tale motivo tutti gli interventi sono per lui un importante mezzo diagnostico: lui stesso impara tramite i suoi interventi. Una cosa importante la frequenza degli interventi dell'animatore. Se interviene troppo spesso, toglie al gruppo compiti che singoli partecipanti potrebbero senz'altro a volte svolgere da s. Un animatore che sa il fatto suo incoragger i partecipanti a occuparsi quanto pi possibile di molti dei problemi di gruppo. 3.6.2. TECNICHE DI INTERVENTO BREVI Qui di seguito descriveremo (con piccoli esempi) diversi brevi interventi che sono spesso necessari. L'animatore li pu applicare in diverse situazioni del gruppo per importanti obiettivi-standard. importante che l'animatore riconosca e comprenda la struttura di tali interventi e che si lasci stimolare a sperimentare di tanto in tanto simili interventi. a) Percepire il proprio comportamento e quello altrui Si tratta soprattutto di indurre i partecipanti a vedere e a sentire meglio, perch diventino consapevoli dei segnali del linguaggio del corpo e li integrino nel processo di interazione. Fa' attenzione al tuo piede. Che cosa fa? Che cosa dice il tuo piede? - Fa' attenzione alla tua mano destra. Che cosa fa? - che cosa guardi? - Guardatevi intorno nel gruppo, e notate come siete seduti e cosa esprime il portamento del corpo di ciascuno. b) Percepire i propri sentimenti L'animatore richiama l'attenzione dei partecipanti ai loro attuali sentimenti e li stimola a esprimerli con parole. La maggior parte di tali interventi si riferisce a sintomi corporali, dal momento che avvertiamo i sentimenti in modo chiaro solo nel nostro corpo, vale a dire come processi specifici nella nostra muscolatura, nella nostra pelle, ecc. Rispettando i giusti intervalli, esso richiamer continuamente l'attenzione dei partecipanti al loro corpo; infatti solo chi in contatto con il proprio corpo pu mantenere un contatto psicologicamente fecondo con i suoi partner di interazione. Che cosa senti adesso? Cosa senti fisicamente? - Chiudete gli occhi ed esaminate i segnali che vi manda il vostro corpo. Cosa sentite in questo momento? - Che cosa vorresti fare adesso prima di tutto? - Ci sono sentimenti nel gruppo che ancora non avete espresso? c) Dare e ricevere feedback L'animatore stimola i partecipanti a scambiarsi reazioni, osservazioni e sentimenti che riguardano il loro comportamento nel gruppo. In tal modo si dovrebbe migliorare la capacit di mettersi in contatto tra i membri del gruppo. Specialmente se un partecipante ha lavorato su un problema personale, se ha comunicato un'importante esperienza personale, l'animatore dovrebbe cercare di far partecipe tutto il gruppo, chiedendo ai partecipanti di comunicare le loro reazioni personali. Tali feedback sono spesso molto importanti per la persona che appena stata al centro: in tal modo viene a sapere che non sola con i suoi problemi, ecc. I partecipanti che si esprimono al riguardo, comunicano spesso cose di cui prima non hanno parlato, e quindi contribuiscono in tal modo a un'apertura pi grande. Chi vuole reagire a quello che Sandra ci ha raccontato? Quali erano i vostri sentimenti mentre parlava? Che cosa vi girava per la testa? - Immagino che alcuni abbiano fatto esperienze simili e che abbiano simili problemi. - Hai sentito ci che vorrei dirti? - Vorresti sapere cosa gli altri pensano al momento di te e che cosa sentono nei tuoi confronti? d) Giungere a un orientamento cognitivo L'animatore aiuta i partecipanti a comprendere il loro proprio comportamento e importanti aspetti dell'interazione secondo un quadro di riferimento cognitivo. Che cosa hai appena appreso? Puoi esprimerlo con le tue parole? - Hai detto che ti senti superfluo qua. Hai avuto questa sensazione gi in precedenza? - Hai detto che nessuno ti ascolta. Quando hai detto questo per la prima volta? e) Sperimentare modi alternativi di comportamento L'animatore invita i partecipanti a sperimentare attivamente il loro comportamento. In tal modo il singolo pu giungere a nuove convinzioni e ampliare il repertorio dei suoi comportamenti. Michele, hai detto al gruppo che hai paura. Vorresti dirlo a tre persone di tua scelta? - Parli sempre in modo impersonale. Ti va di inventare dieci frasi che dici in prima persona? - Hai detto che ci sono delle persone che non sono disposte a cooperare. Sei disposto a comunicare questo messaggio direttamente a tali partecipanti? f) Ricevere sicurezza e sostegno Con i seguenti interventi l'animatore cerca di rafforzare la fiducia dei partecipanti in se stessi e nel gruppo, perch il signolo si senta pi accettato. Ho l'impressione che esercitiamo una grande pressione su Stefano perch dica pi di quanto adesso vuole dire. - Penso che molti partecipanti non si sentano ancora sicuri qua. che ne pensate del clima di fiducia nel nostro gruppo? g) Analizzare processi di gruppo L'animatore stimola i partecipanti a esaminare i processi di interazione di gruppo per quanto riguarda la sua struttura sociale e lo svolgimento del compito. Questo particolarmente importante per tutti i partecipanti che non hanno mai imparato n a parlare di dati sociali n a valutarli. conveniente che l'animatore faccia una breve analisi (di 5-10 minuti) del processo di gruppo che accompagna lo svolgimento del compito. Cos ognuno pu imparare a tenere d'occhio sia gli altri partecipanti che il compito. Che cosa succede adesso nel gruppo e che significato ha? - come si prendono le decisioni in questo gruppo? Propongo di esaminare insieme come si presa la decisione che venuta fuori. - Quali preoccupazioni ci sono al momento nel gruppo? - Di che cosa non si parla? h) Trattamento di disturbi L'animatore interviene perch certi avvenimenti nel gruppo lo turbano nella sua attivit o lo rendono impossibilitato ad agire, oppure perch pensa che un certo membro del gruppo o il gruppo intero ha problemi. Dopo che ho presentato il tema della riunione c' stata una lunga pausa. Che cosa significa il vostro silenzio? - Non so che cosa succede nel gruppo. - C' qualcuno che attualmente molto preoccupato? - Vorrei che ciascuno dica, facendo un giro di conversazione, fino a che punto di sente turbato. i) Lavoro centrato sul tema e lavoro centrato sul compito L'animatore cerca di giungere a un equilibrio ottimale fra quello che esige il lavoro sul tema (o lo svolgimento del compito) e la situazione personale dei partecipanti. Ho avvertito una specie di polarizzazione nella nostra discussione. I partecipanti che sono d'accordo con la soluzione A del problema si mettano al lato destro della sala, e quelli favorevoli alla soluzione B al lato sinistro. Cos vedremo chi pensa attualmente che cosa. - Gi da tempo parliamo di problemi con l'autorit. Che cosa si pu dire su problemi del genere nel nostro gruppo cos come adesso? Quale persona vede ciascuno di noi attualente come autorit? - Non giudicate subito quello che dicono gli altri come vero o come falso; dite piuttosto che cosa pensate voi. - Quali aspetti del tema abbiamo evitato? l) Espressione delle reazioni dell'animatore L'animatore comunica a singoli partecipanti o al gruppo intero quello che sente o pensa lui stesso. Sono colpito dal tuo coraggio di dirci questa cosa. - Da cinque minuti mi sento fisicamente a disagio. - Il fatto che mi dite finalmente che cosa vi disturba, mi toglie un peso. - Vorrei che tu mi dica nel modo pi chiaro possibile che cosa pretendi da me. BIBLIOGRAFIA Responsabili di Pastorale Giovanile del triveneto, testimoni... che altro? I quaderni dell'animatore, n 17, Ed. LDC AAVV, come animare un gruppo, Ed. LDC K. Vopel, manuale per animatori di gruppo, Ed. LDC INDICE Presentazione 1- IL GRUPPO: LUOGO DI ESPERIENZA DI CHIESA 1.1. Perch fare gruppo 1.1.1. Cos' il gruppo 1.1.2. Gruppi primari e gruppi secondari 1.1.3. Il 'piccolo gruppo' 1.1.4. Gruppo come luogo comunicativo 1.1.5. Caratteristiche 1.2. Finalit del gruppo 1.2.1. Lo scopo del gruppo 1.2.2. Un gruppo ecclesiale 1.3. Quale gruppo di AC? 1.3.1. Caratteristiche 1.3.2. Il valore del gruppo per archi di et 1.4. Metodo e metodologia della programmazione 1.4.1. Indicazioni generali 1.4.2. Il metodo dell'Azione Cattolica 1.4.3. La programmazione 1.4.3.1. Premessa: cosa vuol dire programmare da un punto di vista educativo? 1.4.3.2. Il punto di vista educativo-pastorale 1.4.3.3. Per programmare un cammino di gruppo 1.4.3.4. Obbiettivi intermedi e programmazione 1.5. Come si costruisce un gruppo: il ciclo vitale 1.5.1. Premessa 1.5.2. Il ciclo vitale: cinque momenti o fasi della vita di gruppo 1.5.2.1. Prima fase: dalla dispersione alla aggregazione fisica 1.5.2.2. Seconda fase: dall'aggregazione fisica all'appartenenza 1.5.2.3. Terza fase: dall'appartenenza alla coesione e progetto 1.5.2.4. Quarta fase: dal progrtto alla sua realizzazaione 1.5.2.5. Quinta fase: dalla crisi allo sbocco nella societ e nella chiesa 1.6. Per 'iniziare' con un gruppo 1.6.1. Primo incontro: gruppo, perch? 1.6.1.1. Premesse 1.6.1.2. Perch partecipiamo al gruppo? 1.6.1.3. Per fare gruppo sono necessarie delle norme? 1.6.1.4. Cosa fare in gruppo? 1.6.2. Secondo incontro: Gruppo, come? 1.6.2.1. Domande e risposte a 'ruota libera' 1.6.2.2. Presentare alcuni tipi di gruppo Bibliografia 2- L'ANIMATORE: COMPAGNO DI STRADA 2.1. La figura dell'animatore 2.1.1. Premessa 2.1.2. L'identit dell'animatore 2.1.3. La fisionomia dell'animatore 2.1.4. La formazione dell'animatore 2.1.5. La spiritualit dell'animatore 2.2. Tipi di animatore 2.2.1. Quale tipo? 2.2.2. Test personale per valutarsi come animatore 2.3. La persona dell'animatore 2.3.1. Un modello di funzionamento quadridimensionale dell'animazione di gruppo 2.3.2. L'animatore di gruppo efficace 2.4. Compiti dell'animatore di gruppo 2.4.1. Preparazione 2.4.2. Compiti dell'animatore centrato sul gruppo 2.4.3. Compiti dell'animatore centrati sui partecipanti 2.5. La formazione dell'animatore 2.5.1. La formazione al servizio 2.5.2. Il cammino di fede dell'animatore: il gruppo giovani Bibliografia 3- LA RELAZIONE EDUCATIVA: LA COMUNICAZIONE TRA ANIMATORE E GRUPPO 3.1. Come intendere la relazione educativa 3.1.1. Imparare dalla storia della salvezza e dalla propria storia con Dio 3.1.2. La relazione educativa come relazione dinamica fra due soggetti 3.1.3. La sorpresa della relazione gratuita 3.1.4. La proposta educativa: 'dalle cose da fare alle relazioni da vivere' 3.2. La relazione educativa come relazione di comunicazione 3.2.1. Premessa 3.2.2. L'asimmetria comunicativa 3.2.3. Stili di comando 3.2.4. Stili di comando: modelli antropologici 3.2.5. Il gruppo come soggetto dei processi formativi 3.2.6. Cos' una relazione educativa? 3.3. Gestione del potere e funzione educativa 3.3.1. Strutture formali e strutture informali 3.3.2. Educatori formali ed informali 3.3.3. Il rapporto tra autorit educativa e potere 3.4. La relazione animatore-gruppo 3.4.1. Premessa 3.4.2. Gli obbiettivi 3.4.3. Casi difficili in un grande gruppo 3.5. La figura dell'animatore 3.5.1. Dall'educatore autoritario all'educatore autorevole 3.5.2. Un modo di fare proposte 3.6. Il repertorio d'intervento dell'animatore di gruppo 3.6.1. Premessa 3.6.2. Tecniche di intervento brevi Bibliografia